sabato 19 novembre 2011

Il Print on demand NON è editoria

Di Carolina Cutolo

Iniziative come Youcanprint o Lulu, fanno parte della categoria denominata print on demand (POD), cioè letteralmente: “stampa su ordinazione”. Questo nome (nonostante l'inglese a effetto distragga dal senso preciso delle parole) è già una dichiarazione d'identità, come dire: stampiamo (non pubblichiamo), siamo tipografi (non editori).

Quello che ci interessa in questo articolo non è tuttavia una disanima del POD, ma un'analisi dei meccanismi di marketing al limite dell'ingannevole che accomuna molti siti di POD all'editoria a pagamento e al progetto Ilmiolibro (che non fornendo codice ISBN non può essere annoverato tra i siti POD). Per quanto infatti queste forme di pubblicazione per diversi aspetti funzionano in modo completamente diverso, dal nostro punto di vista si avvalgono di campagne pubblicitarie incentrate sulla preziosa possibilità che offrirebbero alla realizzazione del sogno di ogni aspirante scrittore (che paghi): non già vedere il proprio manoscritto pubblicato, ma addirittura “accedere al mondo dell'editoria”, come troviamo scritto testualmente sul sito di Youcanprint, oppure scopriamo che finalmente "Il successo editoriale è adesso una realtà con lulu", come troviamo invece assicurato sul sito di Lulu.com: una promessa che neanche un grande editore può essere certo a priori di mantenere.

Molte delle operazioni di print on demand, glissano sul fatto che la discriminante per pubblicare con loro sia il denaro (e chi non ce l'ha, problemi suoi), e rivendicano invece la presunta democraticità del fatto che secondo loro chiunque può finalmente realizzare il suo sogno di diventare scrittore, omettendo che in verità tale democraticità è riservata (palese contraddizione in termini) solo a chi paga. Lo slogan del progetto Ilmiolibro.it è illuminante: “Se l'hai scritto, va stampato”, come se il semplice fatto di buttare giù un malloppo di frasi qualsiasi, fosse sufficiente a conferire al testo dignità e diritto alla pubblicazione (la mia lista della spesa è lì che langue! deprecabile spreco di talento!): un povero aspirante scrittore, ingenuo e per forza di cose ignorante dei meccanismi editoriali, non aspetta altro che questo tipo di avallo per potersi considerare a tutti gli effetti uno scrittore, cosa che sembra importargli infinitamente più che imparare a scrivere bene.


Molti sostengono a questo proposito che il problema sia di chi casca in questi tranelli. È sprovveduto? Fatti suoi. Siamo d'accordo che in un certo senso se la sia cercata, ma non ci sembra giusto che sull'ignoranza e sulla faciloneria del consumatore si costruisca un'impresa economica, si ricavi profitto. È pur vero che questi signori fanno molta attenzione a non autodefinirsi mai esplicitamente “editori” ma, per evitare gli equivoci sui quali si basa questa discutibile operazione di marketing, dovrebbe esserci una legislazione che preveda non solo l'uso di una terminologia precisa e inequivocabile, ma magari anche che, per ogni pubblicazione che comporta delle spese per l'autore, sia obbligatorio informare gli utenti con una frase standard, una formula che garantisca la piena comprensione a chi si imbatte in questo tipo di proposte. Per esempio, se gli editori a pagamento e i siti print on demand fossero obbligati per legge a inserire bene in evidenza, e su tutte le pagine del proprio portale, la frase: “Non siamo editori, siamo stampatori”, non credo che molti autori riuscirebbero ancora a scambiarli per editori. Un altro provvedimento auspicabile (che, a onor del vero, Ilmiolibro.it già applica) potrebbe essere che per legge fosse previsto (per i testi pubblicati in parte o interamente a pagamento) l'obbligo di aggiungere alle informazioni sulla stampa di un testo (nome della tipografia, luogo e data), la dicitura: “Stampato (parzialmente o interamente) a spese dell'autore”.

Fatta questa importante premessa, non ci interessa in questa sede il fatto che queste operazioni siano perfettamente legali (ci mancherebbe solo che prosperassero illegalmente). Non ci interessa neanche il fatto che pubblicare a pagamento nella speranza di “sfondare” sia appena un filino meno penoso che pubblicare grazie alla raccomandazione e dunque al poter scavalcare la pressoché inutile trafila dell'invio del manoscritto da parte dello sconosciuto qualsiasi. Quello che qui ci interessa è da una parte, come dicevamo, indagare lo sfruttamento (e le conseguenze) dell'ingenuità di molti aspiranti scrittori, dall'altra evidenziare lo svilimento dei processi di pubblicazione che dovrebbero invece operare su base qualitativa e meritocratica.

Noi consideriamo a pagamento tutte le forme di pubblicazione in cui è l'autore a pagare l'editore, e non viceversa, quindi il print on demand, a nostro parere, è assimilabile più all'editoria a pagamento (che non consideriamo degna del titolo di “editoria”) che all'editoria vera e propria. Con molte differenze, nelle modalità e nei costi, sia chiaro, ma le accomuniamo in questo discorso dal punto di vista della spesa per l'autore, che secondo noi non dovrebbe sussistere MAI se si parla di editoria. Un autore è chiaramente libero di pagare per stampare e assegnare un codice ISBN a un suo manoscritto, ma dovrebbe essere chiaro e inequivocabile che si tratta di tipografia e semmai (nel più nobile dei casi) di autoproduzione, non di editoria.

Chiariamo quindi una volta per tutte questa differenza fondamentale: una cosa è una casa editrice, una cosa è il Print on demand: la prima investe il suo denaro scommettendo sul talento di un autore, il secondo fornisce stampa e servizi editoriali a pagamento. Non c'è margine di discussione: sono due cose palesemente diverse e, sia chiaro, entrambe da rispettare, purché, come dicevamo, agiscano nel pieno rispetto dei loro interlocutori, che siano autori o clienti. L'editore che chiede soldi a un autore per pubblicarlo a mio parere è scorretto esattamente come i siti di POD che promettono agli autori che se stamperanno con loro entreranno finalmente nel mondo dell'editoria (Youcanprint).

La differenza fondamentale invece, tra il print on demand e l'editoria a pagamento, che giustifica l'assimilare il POD decisamente alla tipografia piuttosto che all'editoria, è la clausola dell'accordo che prevede che i diritti sul testo non siano ceduti, ma restino di proprietà dell'autore. Naturalmente questa clausola viene sottoposta all'autore come una concessione, come un incredibile atto di generosità: pensate a un tipografo, che al momento di presentarvi il preventivo per stampare una serie di depliant che gli vorreste commissionare, per convincervi sulla competitività della sua proposta, esclami con compiacimento che il testo del depliant resta di vostra proprietà! Che potrete continuare a farne quello che volete!

Passiamo all'esempio pratico: siamo stati sul sito di Youcanprint e abbiamo calcolato il preventivo di spesa se volessimo stampare 100 copie di un testo di 200 pagine nel formato più economico. La cifra risultante dal conteggio è di 500 euro, e cioè 5 euro a copia. Abbiamo provato a calcolare il preventivo per lo stesso numero di copie nel formato più economico su Ilmiolibro.it, e la cifra risultante è di 552 euro. Abbiamo tentato la stessa operazione su altri siti e il preventivo di spesa si conferma di poco al di sotto o al di sopra dei 500 euro. Sorvolando sul fatto che questa cifra, allo stato attuale del mercato del lavoro italiano, è grossomodo pari allo stipendio medio mensile per un impiego part-time a progetto, ammettiamo che possa sembrare ugualmente un buon investimento all'autore che, immaginando di vendere poi il suo testo mettiamo a 10 euro, crederà di rifarsi della spesa e guadagnare anzi 500 euro una volta vendute tutte le 100 copie stampate. Peccato che, se desidera avvalersi dei servizi di ufficio stampa e distribuzione, assolutamente necessari se desidera promuovere il proprio testo e quindi venderlo, deve pagare ancora, perché su Youcanprint, come su moltissimi altri siti di questo genere, se si vuole usufruire di uno dei servizi che normalmente un editore fornisce gratuitamente (editing, correzione di bozze, ufficio stampa, distribuzione), bisogna pagare ancora, e per ogni singolo servizio. Per esempio su Youcanprint l'ufficio stampa “light” costa 150 euro, quello “premium” 250.


Dunque, ricapitolando:

1.  Il sistema dell'editoria a pagamento e il print on demand, quando fanno uso di tranelli lessicali e formali per guadagnare acquirenti (e non autori), sfruttano scientemente l'ingenuità e la disperazione di moltissimi aspiranti scrittori, che piuttosto che aprire gli occhi al fatto che scrivere un libro valido e riuscire a pubblicarlo è DIFFICILE, preferiscono continuare a sognare ad occhi aperti (e a pagamento) la propria gloria letteraria.

2. Il tranello che ci fa pensare che basti pagare per “accedere al mondo dell'editoria” e dunque considerarsi scrittori a tutti gli effetti, è pericoloso solo per quanti, invece che concentrarsi sulla scrittura, invece che leggere il più possibile, e invece che accettare che ci voglia tempo e fatica per imparare a scrivere meglio, dimenticano che scrivere è e deve essere un fine, e non un mezzo per ottenere denaro e fama. Queste operazioni di pubblicazione a pagamento avallano l'aspirazione becera che il fine della scrittura sia, per dirlo alla Cavazzoni, il “prevalere per una via spiccia, [...] fare il colpo gobbo, si dice anche, col quale si sale di colpo con poco sforzo nella scala gerarchica; mentre gli altri, i concittadini anonimi, di conseguenza restano giù, nel pantano in cui normalmente ci si divincola invano, finché lentamente si muore. In questo senso l'arte (e la letteratura) può essere una brutta faccenda, di prevaricazioni, una strada accelerata per la vendetta sul genere umano; e i suoi prodotti bolle d'aria, gonfie di vanagloria (e di puzza).

3. Pubblicare a pagamento è un privilegio riservato a chi può permettersi di pagare, non un'opportunità democratica: quando il denaro è l'unica discriminante per pubblicare, non è più la qualità del testo a fare da soglia oltre la quale si pubblica, ma la disponibilità economica. I soldi, oltre a non essere una garanzia di qualità, rendono la pubblicazione un lusso di chi può PAGARE, e non un merito dovuto al presunto valore del testo. Per questo motivo, pagando per vedere pubblicato il mio libro, ho contribuito ad alimentare un sistema elitario basato sulla disponibilità economica dell'autore, e non sul suo talento.

Concludendo: diffidate del POD che vi promette (anche solo velatamente) di farvi accedere finalmente al mondo dell'editoria e di trasformarvi in scrittori. Diffidate sempre e informatevi bene. E se proprio avete denaro da spendere, ricordatevi che l'autoproduzione è una forma dignitosissima di pubblicazione, ma occupandovene davvero da soli (invece che per una via spiccia): fatevi fare preventivi diversi da diversi tipografi (ricordate che anche il POD passa per il tipografo, scavalcate il filtro e trovatene uno che vi costi meno), acquistate il vostro codice ISBN, fate correggere il testo ad amici competenti su grammatica e sintassi (leggere e rileggere un proprio testo inevitabilmente fa sfuggire errori e refusi), studiate le copertine che girano e scegliete bene la vostra: a quel punto lavorate sodo per far girare più informazione possibile sul vostro libro, spremetevi le meningi, inventate strategie di comunicazione originali, ma fatelo nell'ottica che se il vostro libro gira, i complimenti di chi lo leggerà non vi serviranno a niente, le critiche, al contrario, potranno rimandarvi un feedback molto utile a migliorare. E soprattutto non dimenticate mai che l'attenzione per voi e per il vostro libro non è dovuta, e che la cosa più importante non è essere riconosciuti come scrittori da amici, parenti, dal resto del mondo: ma imparare a scrivere sempre meglio.

Carolina Cutolo