venerdì 25 novembre 2011

Dividi e impera

Rispetto ad altre forme di espressione, scrivere è una delle attività più individuali e solitarie. Persino nel momento dell'incontro con il lettore, il legame tra chi scrive e chi legge è indiretto, e i due momenti (lo scrivere e il leggere) possono essere cronologicamente distanti anche anni. Niente di nuovo: a molti autori questa dimensione fuori dal tempo piace, scelgono la scrittura anche per questo motivo.
L’isolamento diventa un problema tuttavia nel momento in cui lo scrittore sente il bisogno di confrontarsi con altri autori sul proprio testo (piuttosto che con amici e parenti che raramente si rivelano interlocutori competenti e imparziali), oppure quando si accinge a firmare il suo primo contratto editoriale e si rende conto di non comprendere molte delle voci in esso contenute o, peggio, quando si accorge troppo tardi delle conseguenze concrete e dannose di un contratto firmato, per esempio, due anni prima.
Alcuni editori favoriscono l'isolamento dei propri scrittori, per timore che, dal confronto delle differenti condizioni contrattuali o dei diversi trattamenti da parte dell'editore, possano nascere sgradevoli lamentele o, peggio, adunanze sediziose che possano metterne in discussione l'autorità e la buona fede.
D'altro canto, alcuni autori, per un ingenuo atteggiamento di eccessiva gratitudine o, invece, di ipocrita piaggeria nei confronti del proprio editore, preferiscono non unirsi ad altri autori in eventuali lamentele, per timore di risultare scomodi, di compromettere contatti editoriali potenzialmente strategici, di essere stigmatizzati come autori fastidiosi.

Scrittori in Causa nasce anche da questa esigenza: rompere il muro di isolamento di chi scrive, per dare la possibilità, a chiunque ne abbia il desiderio o il bisogno di:
- accedere a informazioni preziose sui contratti di edizione e sul mondo editoriale in generale;
- partecipare a un libero confronto tra professionisti che operano nello stesso settore;
- unirsi ad altri autori con cui si condividono gli intenti e fare qualcosa di concreto per mettere finalmente in discussione tutta una serie di convenzioni editoriali che ritengono ingiuste e dannose per l'autore. (Vedi diritto di opzione, compensi, rendiconti, pagamenti, controllo delle copie vendute).

Pubblichiamo un testo di Linda Rando già pubblicato su Writersdream, che affronta proprio la questione dell'isolamento delle identità e sottolinea, al contrario, l'importanza di unirsi come unica via per cambiare le cose.


Dividi et impera
 
Di Linda Rando

Leggevo su Lipperatura dell’emergenza informazione: i tg nascondono, censurano, portano in primo piano il gossip; le testate nazionali fanno la stessa cosa, le free press idem. Poi ci sono i blog letterari che, si diceva su Sul Romanzo, sono sempre più in crisi.
E, da tempo, si parla della difficoltà di perforare il muro dell’anonimato, dell’impossibilità di emergere, della difficoltà di far sentire la propria voce.
Se ne parla da tempo, ma ultimamente il mormorio si è fatto più forte. Molto più forte.
Si cerca la visibilità, si cerca di far affiorare voci, idee, pensieri; Facebook sembrerebbe aiutare la causa, scioperi e iniziative spesso raccolgono centinaia di migliaia di adesioni; in realtà, un click su FB corrisponde a un’azione reale solo nel 10% dei casi. A voler essere ottimisti.
Facebook è un’ottima valvola di sfogo: si permette alla gente di gridare, di urlare, di portare alla luce i propri pensieri. La gente passa, commenta, dà il suo sostegno e poi tutti a giocare su Farmville, più rilassati e con la coscienza un po’ più pulita.
Dividi et impera.

Di blog ne nascono a iosa, spesso con ottime intenzioni e ottime idee; ma far emergere un blog non è facile, nemmeno quando le idee sono buone e i contenuti eccellenti. E per ogni buon blog alla luce ce ne stanno mille, migliori, al buio.
Dividi et impera.
Forum, siti, riviste letterarie: negli ultimi anni sono nati come funghi; le riviste, poi, nonostante qualcuno le proclamasse spacciate, spuntano una dietro l’altra. La cosa buffa è che nel 90% dei casi hanno idee e contenuti, se non simili, identici.
Spessissimo nascono da un “distaccamento” da un sito/forum/rivista più grande, e portano avanti le stesse idee della sorella maggiore.
Dividi et impera.
Io mi chiedo cosa accadrebbe se quella massa di lettori, scrittori, gente che ha qualcosa da dire, mettesse da parte per un attimo la propria voglia d’indipendenza, di identità prettamente personale, e si fermasse a riflettere sulle potenzialità di un’unione.
Mi domando, se abbiamo le stesse idee, facciamo le stesse cose, abbiamo gli stessi obiettivi, perché stiamo separati?
Dividi et impera. Non è teoria, non è nemmeno pratica: è la realtà delle cose.
Sicuri che conviene? Sicuri che stiamo facendo la cosa giusta “mantenendo ognuno la propria identità”? E che ce ne facciamo, di quest’identità, se rimane sepolta sotto milioni di altre identità e non ha la forza per mettere in pratica le sue idee, per fare quel che si propone?
Stiamo facendo una cosa furba, una cosa intelligente, o ci stiamo facendo manipolare e stiamo facendo il gioco di qualcuno che ci vuole separati, ignoranti e senza punti di riferimento?
Il contrario di “dividi et impera” è “l’unione fa la forza”.
Linda Rando


Sempre restando in tema, Filippo Anniballi ci ha inviato un suo testo in cui, tra le altre cose, parla del timore dello scrittore di essere discriminato dal mondo editoriale nel momento in cui si unisce ad altri scrittori, aderisce a un progetto scomodo per chi invece gattopardescamente non ha nessuna intenzione di modificare lo status quo. Ne pubblichiamo un significativo frammento:

Ma tipo io, che già fatico a pubblicare, mi iscrivo a SIC (Scrittori in Causa), poi, mettiamo, una grande casa editrice con un mega direttore vuole pubblicare uno dei miei deliri, io sono iscritto a scrittori in menopausa, loro lo vengono a sapere e dicono... mmmhh, questo Phil Sick è un piantagrane... pubblichiamo quell'altro, Phil Well per esempio, lui non è iscritto al sindacato... però se iscrivermi al sindacato (cioè Scrittori in Causa) è buono, una cosa alla Jimmy Hoffa per capirci, non esiterei un secondo.
Filippo Anniballi

Concludendo:
Se vogliamo davvero cambiare qualcosa, tre sono le azioni fondamentali da compiere:

1. mettere da parte ogni timore di infastidire le “alte sfere” e di venire discriminati per questo, perché il timore della discriminazione non è un motivo valido né nobile per non aderire a una causa che si ritiene giusta;

2. unirci ad altre persone di cui condividiamo gli scopi e i mezzi con cui raggiungerli, perché più siamo, più saremo visibili e più sarà difficile subire discriminazioni;

3. agire concretamente, nei tempi e nei modi più rispettosi della nostra individualità, per attuare il cambiamento. Per dirla alla Gandhi: essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

Linda Rando