venerdì 25 novembre 2011

Editoria precaria

Di Alessandra Amitrano

Non sono precaria come scrittrice perché fare la scrittrice non è il mio lavoro, nonostante sia la mia passione più grande, necessaria. Non è il mio lavoro perché in quello che scrivo metto cose che vanno aldilà dell’immediato, della spendibilità. Scrivere mi prende tempo, impegno, silenzio. Scrivo di giorno ma scrivere mi chiede quello che possiede la notte, un tempo statico, dilatato, sollevato da terra.

Sono precaria perché scrivo. Forse, considerando i tempi e la mia indole, sarei precaria anche se non scrivessi. Sono precaria perché per vivere e far vivere mio figlio, il mio compagno e io dobbiamo costantemente proporci, imporci, convincere, spiegare. Dobbiamo chiedere di essere pagati, dobbiamo chiedere di essere equamente pagati, dobbiamo ricordare di essere pagati. Dobbiamo inventare, ideare, pensare, camminare, correre, parlare e rispondere.


No, non mi sento precaria come scrittrice, e penso che, come mi ha fatto osservare Carolina, scrittura e precariato siano due cose che non hanno senso di coesistere, ma se gli editori, e non parlo del fortunato caso del mio esordio, investissero di più su libri preziosi, forse gli scrittori potrebbero permettersi di fare meno i precari in altre circostanze. Fare i precari, e non essere precari, perché il precariato si è spinto così a oltranza che da modalità è diventato norma, da approccio è diventato condizione.

San Precario a Torino mi ha fatto scoprire chi sono i veri precari dell’editoria: Adelphi: 7 redattori assunti e 12 collaboratori, di cui 6 a partita IVA. Mondadori (Oscar): 6 redattori assunti, 9 cocopro con fisso mensile, 10 cocopro pagati a cottimo (cioè a cartella) e 1 collaboratore con partita IVA. Rcs (Rizzoli-Bur): 19 redattori assunti, 17 cocopro, 2 interinali, 4 stagisti e 1 partita IVA. DeAgostini Scuola: 18 redattori assunti e 13 a progetto (ma con obbligo di presenza quotidiana in azienda). Mondadori Education: 31 redattori assunti e 31 atipici nelle sedi di Milano e Firenze. Piemme: 56 dipendenti assunti, 27 collaboratori e 2 interinali.

Poi c’è un mio amico. Ha lavorato instancabilmente in una casa editrice che è cresciuta anche grazie alla sua bravura. Da più di un anno non lavora più lì, devono ancora pagargli sei stipendi.

Poi c’è uno scrittore, che da poco tempo è morto di cancro. Avanzava ancora i soldi del suo ultimo libro.

E poi c’è la vergogna.