martedì 25 settembre 2012

Piccoli editori capestro crescono

Sabato 22 settembre, su ORWELL, l'inserto culturale del quotidiano Pubblico, è uscito questo articolo sulle principali e più diffuse clausole-trappola di una certa piccola editoria italiana. Va precisato infatti che esistono in Italia molti piccoli editori che invece lavorano sodo, con grande competenza e professionalità, e che sopravvivono a stento ma preferirebbero chiudere bottega piuttosto che raggirare gli autori. Questo articolo, oltre che uno strumento per gli autori alle prime armi che vogliano imparare a riconoscere le trappole contrattuali, vuole essere un omaggio pur indiretto a tutti i piccoli editori onesti che non si avvarrebbero mai di questi trucchetti ignobili per incastrare e spennare autori inesperti. L'editoria è un'altra cosa, e gli editori degni di questo nome non sono degli eroi, ma dei professionisti che amano la lettura e la scrittura e cercano di fare il proprio lavoro in modo onesto e appassionato. Li ringraziamo, tuttavia, perché è solo merito loro se il panorama della piccola editoria italiana non è composto esclusivamente da un guazzabuglio di imprenditori furbetti a cui dei libri importa poco e niente.


Piccoli editori capestro crescono


 «Del resto, per quanto amaro possa essere questo per me, il danno maggiore è per i miei contemporanei che non sanno utilizzarmi, che non si accorgono di me, o, forse, ostentano di non accorgersi di me». Questo ritratto satirico della vanagloria e dell'amarezza di un pensatore, un artista, uno scrittore che non riesce a pubblicare, risale al 1942, anno di pubblicazione del Diario di Gino Cornabò di Achille Campanile. Oggi, a sessant'anni di distanza, la condizione dell'aspirante scrittore in Italia è andata ben oltre la caricatura. Nell'ultimo decennio, probabilmente a causa della tangibile impossibilità di realizzazione professionale, di ottenere un riconoscimento sociale del proprio valore, si è diffuso un desiderio generalizzato di pubblicare un libro, raggiungere il successo, fare il “colpo gobbo”, come lo chiama Ermanno Cavazzoni ne Il Limbo delle fantasticazioni, «col quale si sale di colpo e con poco sforzo» innalzandosi sul pantano degli altri disgraziati. Su queste velleità negli ultimi anni hanno costruito la propria fortuna centinaia di piccoli editori che, millantando professionalità e promettendo gloria, incastrano e spennano sprovveduti autori grazie a contratti capestro e richieste di denaro declinate nelle forme più fantasiose: «collaborazione dell'autore» (SBC Edizioni), «partecipazione alle spese di pubblicazione» (Limina Mentis Editore), «strategie di coproduzione» (Albatros – Il Filo).

Nel nutrito sottobosco di aspiranti scrittori sono in pochissimi a vedere l'editore come qualcuno con cui si contrae un accordo di lavoro e il contratto come un documento scritto dalla controparte sul quale trattare fino ad ottenere condizioni più vantaggiose e rispettose anche per l'autore. Il resto è una masnada di Gino Cornabò che vede l'editore come un illuminato che ha saputo riconoscere il vero talento, un benefattore al quale concedere riconoscenza e fiducia praticamente incondizionate.


Da circa due anni per Scrittori in Causa mi occupo di assistere gratuitamente gli autori nella soluzione di controversie con piccoli editori, e ho visionato decine di contratti di edizione accettati e firmati come fogli in bianco da autori inesperti e ingiustificatamente fiduciosi. Ecco alcuni esempi delle più frequenti clausole-trappola in cui mi sono imbattuta:

«L'Autore cede all'Editore i diritti esclusivi dell'Opera per la durata massima consentita dalla legge vigente sul diritto d’autore» (Edizioni Il Foglio). La legge vigente è la n. 633 del 1941 e prevede una durata massima di vent'anni. Questa trovata di non precisare in anni la durata del contratto e di incastrare gli autori per tempi biblici ha delle varianti decisamente creative: «Nel caso in cui alla naturale scadenza del contratto le vendite non abbiano raggiunto le 250 unità, l'Editore ha facoltà di prorogare la durata del contratto per un tempo indefinito e comunque fino al raggiungimento di tale target» (0111 Edizioni), un sistema per inguaiare l'autore, grossomodo, per sempre.

«Siamo pronti a pubblicare la Sua Opera all'interno della collana Nuove Voci qualora possa fare acquistare, o acquistare direttamente, presso la nostra casa editrice n. 125 copie del Suo Libro, al prezzo di copertina di Euro 17,50»: si tratta del più subdolo stratagemma per agire da editori a pagamento nascondendosi dietro il dito della formulazione alternativa, come da contratto Albatros, ma anche (varie tipologie di “contributi alla pubblicazione”): A&B Editore, Caosfera Edizioni, Edicolors, La Riflessione Editrice, Limina Mentis, Manni Editori, Sangel Edizioni e SBC, che utilizza una formula di rara maestria dialettica: «Nell'attuale situazione del mercato editoriale il lancio di nuove opere è una vera scommessa che, vista la validità del Suo lavoro, come editori ci sentiamo di affrontare operando in stretta collaborazione con l'Autore. Pertanto Le chiediamo di acquistare direttamente o far acquistare (magari da uno sponsor - ente, impresa, associazione ecc, - da Lei indicato) n. 250 copie». Che professionalità, che lungimiranza: sanno di avere a che fare con uno squattrinato Gino Cornabò e gli suggeriscono persino dove andare a scollettare. E questo perché sono certi della validità del Suo lavoro, e ci tengono tanto a una collaborazione stretta, strettissima.

Uno dei problemi più seri dell'editoria italiana è l'arbitrarietà incondizionata degli editori nella stesura dei rendiconti. Grazie a questo buco nero molti piccoli editori hanno escogitato un trucco che, oltre a consentirgli di non pagare le royalty dalla prima copia venduta come sarebbe giusto, li favorisce qualora decidessero di non pagare MAI: «L'Autore percepirà il compenso relativo ai diritti d'autore dopo le prime 100 [ma si arriva anche a 300, ndr] copie vendute» (0111, Il Foglio, Limina Mentis e, con formule analoghe: A.Car Edizioni, Aracne Editrice, Caosfera, SBC). Alcuni creativi della contrattualistica contano invece sull'inettitudine degli autori: «L'Autore, entro il 31 marzo di ogni anno solare [...] potrà chiedere all'Editore il rendiconto delle copie vendute» (Albatros, SBC). L'autore potrà chiedere il rendiconto, è chiaro quindi che si tratti di una facoltà concessa dall'editore: come non provare indefettibile riconoscenza?

C'è tuttavia un numero impressionante di singole, ingegnosissime clausole che meriterebbero un tomo dedicato. Una su tutte (0111 Edizioni) è la seguente: «Nel caso di inadempienze da parte dell'Autore (dicasi contenziosi) [...] la proprietà dell'Opera diventerà di proprietà esclusiva dell'Editore, che potrà utilizzarla nei modi che riterrà opportuni, anche trasferendo ad altri i diritti acquisiti con il presente contratto e senza il consenso dell'Autore, che perderà quindi ogni diritto sull'Opera». In sostanza ci si garantisce grazie a un pretesto qualsiasi e del tutto arbitrariamente la proprietà esclusiva dell'opera senza alcun riferimento temporale. Dunque, va da sé, il nostro Gino Cornabò avrà perso ogni diritto sul suo capolavoro letterario per l'eternità.

Carolina Cutolo