Sabato 22 settembre, su ORWELL, l'inserto culturale del quotidiano Pubblico, è uscito questo articolo sulle principali e più diffuse clausole-trappola di una certa piccola editoria italiana. Va precisato infatti che esistono in Italia molti piccoli editori che invece
lavorano sodo, con grande competenza e professionalità, e che
sopravvivono a stento ma preferirebbero chiudere bottega piuttosto
che raggirare gli autori. Questo articolo, oltre che uno strumento per gli autori alle prime armi che vogliano imparare a riconoscere le trappole contrattuali, vuole essere un omaggio pur indiretto a tutti i piccoli editori onesti che non si avvarrebbero mai di questi trucchetti ignobili per incastrare e spennare autori inesperti. L'editoria è un'altra cosa, e gli editori degni di questo nome non sono degli eroi, ma dei professionisti che amano la lettura e la scrittura e cercano di fare il proprio lavoro in modo onesto e appassionato. Li ringraziamo, tuttavia, perché è solo merito loro se il panorama della piccola editoria italiana non è composto esclusivamente da un guazzabuglio di imprenditori furbetti a cui dei libri importa poco e niente.
Piccoli editori capestro crescono
«Del resto, per quanto amaro possa essere questo per me, il
danno maggiore è per i miei contemporanei che non sanno utilizzarmi,
che non si accorgono di me, o, forse, ostentano di non accorgersi di
me». Questo ritratto satirico della vanagloria e dell'amarezza
di un pensatore, un artista, uno
scrittore che non riesce a pubblicare, risale al 1942, anno di
pubblicazione del Diario di Gino Cornabò di Achille
Campanile. Oggi, a sessant'anni di distanza, la condizione
dell'aspirante scrittore in Italia è andata ben oltre la caricatura.
Nell'ultimo decennio, probabilmente
a causa della tangibile impossibilità di realizzazione
professionale, di ottenere un riconoscimento sociale del proprio
valore, si è diffuso un desiderio generalizzato di pubblicare
un libro, raggiungere il successo, fare il “colpo gobbo”, come lo
chiama Ermanno Cavazzoni ne Il Limbo delle fantasticazioni,
«col quale si sale di colpo e con poco sforzo» innalzandosi
sul pantano degli altri disgraziati. Su queste velleità negli ultimi
anni hanno costruito la propria fortuna centinaia di piccoli editori
che, millantando professionalità e promettendo gloria, incastrano e
spennano sprovveduti autori grazie a contratti capestro e richieste
di denaro declinate nelle forme più fantasiose: «collaborazione
dell'autore» (SBC Edizioni), «partecipazione alle spese di
pubblicazione» (Limina Mentis Editore), «strategie di
coproduzione» (Albatros – Il Filo).
Nel nutrito sottobosco di aspiranti scrittori sono in pochissimi
a vedere l'editore come qualcuno con cui si contrae un accordo
di lavoro e il contratto come un documento scritto dalla controparte
sul quale trattare fino ad ottenere condizioni più vantaggiose e
rispettose anche per l'autore. Il resto è una masnada di Gino
Cornabò che vede l'editore come un illuminato che ha saputo
riconoscere il vero talento, un benefattore al quale concedere
riconoscenza e fiducia praticamente incondizionate.
Da circa due anni per Scrittori in Causa mi occupo di assistere
gratuitamente gli autori nella soluzione di controversie con piccoli
editori, e ho visionato decine di contratti di edizione accettati e
firmati come fogli in bianco da autori inesperti e
ingiustificatamente fiduciosi. Ecco alcuni esempi delle più
frequenti clausole-trappola in cui mi sono imbattuta:
«L'Autore cede all'Editore i diritti esclusivi dell'Opera per
la durata massima consentita dalla legge vigente sul diritto
d’autore» (Edizioni Il Foglio). La legge vigente è
la n. 633 del 1941 e prevede una durata massima di vent'anni. Questa
trovata di non precisare in anni la durata del contratto e di
incastrare gli autori per tempi biblici ha delle varianti decisamente
creative: «Nel caso in cui alla naturale scadenza del contratto
le vendite non abbiano raggiunto le 250 unità, l'Editore ha facoltà
di prorogare la durata del contratto per un tempo indefinito e
comunque fino al raggiungimento di tale target» (0111 Edizioni),
un sistema per inguaiare l'autore, grossomodo, per sempre.
«Siamo pronti a pubblicare la Sua
Opera all'interno della collana Nuove Voci qualora possa fare
acquistare, o acquistare direttamente, presso la nostra casa editrice
n. 125 copie del Suo Libro, al prezzo di copertina di Euro 17,50»:
si tratta del più subdolo stratagemma per agire da editori a
pagamento nascondendosi dietro il dito della formulazione
alternativa, come da contratto Albatros, ma anche (varie tipologie di
“contributi alla pubblicazione”): A&B Editore, Caosfera
Edizioni, Edicolors, La Riflessione Editrice, Limina Mentis, Manni
Editori, Sangel Edizioni e SBC, che utilizza una formula di rara
maestria dialettica: «Nell'attuale
situazione del mercato editoriale il lancio di nuove opere è una
vera scommessa che, vista la validità del Suo lavoro, come editori
ci sentiamo di affrontare operando in stretta collaborazione con
l'Autore. Pertanto Le chiediamo di acquistare direttamente o far
acquistare (magari da uno sponsor - ente, impresa, associazione ecc,
- da Lei indicato) n. 250 copie».
Che professionalità, che lungimiranza: sanno di avere a che fare con
uno squattrinato Gino Cornabò e gli suggeriscono persino dove andare
a scollettare. E questo perché sono certi della validità
del Suo
lavoro, e ci tengono tanto a una collaborazione stretta,
strettissima.
Uno dei problemi più seri dell'editoria italiana è
l'arbitrarietà incondizionata degli editori nella stesura dei
rendiconti. Grazie a questo buco nero molti piccoli editori hanno
escogitato un trucco che, oltre a consentirgli di non pagare le
royalty dalla prima copia venduta come sarebbe giusto, li favorisce
qualora decidessero di non pagare MAI: «L'Autore percepirà il
compenso relativo ai diritti d'autore dopo le prime 100 [ma si
arriva anche a 300, ndr] copie vendute»
(0111, Il Foglio, Limina Mentis e, con formule analoghe: A.Car
Edizioni, Aracne Editrice, Caosfera, SBC). Alcuni
creativi della contrattualistica contano invece sull'inettitudine
degli autori: «L'Autore, entro il 31
marzo di ogni anno solare [...] potrà chiedere all'Editore il
rendiconto delle copie vendute»
(Albatros, SBC). L'autore potrà
chiedere il rendiconto, è chiaro quindi che si tratti di una facoltà
concessa dall'editore: come non provare indefettibile riconoscenza?
C'è tuttavia un numero impressionante di
singole, ingegnosissime clausole che meriterebbero un tomo dedicato.
Una su tutte (0111 Edizioni) è la seguente: «Nel
caso di inadempienze da parte dell'Autore (dicasi contenziosi) [...]
la proprietà dell'Opera diventerà di proprietà esclusiva
dell'Editore, che potrà utilizzarla nei modi che riterrà opportuni,
anche trasferendo ad altri i diritti acquisiti con il presente
contratto e senza il consenso dell'Autore, che perderà quindi ogni
diritto sull'Opera». In sostanza ci
si garantisce grazie a un pretesto qualsiasi e del tutto
arbitrariamente la proprietà esclusiva dell'opera senza alcun
riferimento temporale. Dunque, va da sé, il nostro Gino Cornabò
avrà perso ogni diritto sul suo capolavoro letterario per
l'eternità.
Carolina Cutolo