venerdì 25 novembre 2011

Vicenda Fazi vs Panarello

Alcune considerazioni
Di Carolina Cutolo

Nei giorni scorsi Luca Telese su Il Fatto Quotidiano ha dato spazio a un'interessante querelle tra Melissa Panarello, l'autrice del best seller internazionale Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, e il suo ex editore, Elido Fazi.

Apre la vicenda un'intervista a Melissa Panarello, in cui l'autrice denuncia il comportamento scorretto del suo editore, che secondo lei non l'avrebbe pagata rispettando i termini contrattuali, l'avrebbe frodata sui rendiconti e sui diritti d'autore, l'avrebbe costretta infine, dopo essere ricorsa a un avvocato, a un patteggiamento grazie al quale è rientrata sì in possesso dei diritti su tutte le sue opere già pubblicate con la Fazi Editore, ma rinunciando a riscuotere una parte del sostanzioso debito che la casa editrice aveva in sospeso con lei.

Segue, il giorno dopo, sempre sulle pagine de Il Fatto, e sempre a firma Telese, un'intervista/replica di Elido Fazi, in cui l'editore si scaglia contro la sua pupilla di un tempo e nega quanto da lei dichiarato.

Conclude, almeno per il momento, l'aspra discussione, una lettera di Melissa Panarello che il Fatto pubblica il giorno dopo l'intervista a Fazi.

Quello che in questa sede ci interessa rilevare, è il fatto che un contenzioso tra autore ed editore non sia rimasto a macerare dietro le quinte, ma abbia finalmente attirato l'attenzione dei media e gli sia stato dato spazio su un quotidiano nazionale. E dispiace constatare che moltissimi dei lettori del Fatto, nel commentare queste notizie, abbiano liquidato la vicenda in modo sprezzante, sminuendola a mera questione di pettegolezzo, senza considerare il valore, indubbio, della denuncia: quella di un autore verso i comportamenti truffaldini di un editore.

La questione non è affatto marginale e tocca temi assolutamente cruciali per Scrittori in Causa: il diritto alla trasparenza dei rendiconti, il diritto a essere pagati entro i termini prestabiliti, il diritto a un rapporto paritario e basato sul reciproco rispetto tra autore ed editore. Un'autrice italiana (era ora!) ha finalmente denunciato pubblicamente (e comprendiamo e condividiamo che lo abbia fatto solo a vicenda legale conclusa) diversi comportamenti scorretti da parte del suo editore. L’editore ha risposto in modo aggressivo, vago e con termini e toni francamente indegni di un professionista: “Il suo libro fa schifo. Non l'ho nemmeno letto”.

Ma vediamo la questione più nel dettaglio. La Panarello sostiene a proposito del compenso:
Fazi non me li dà [i soldi, e mi dice]: tutti insieme non li ho, pago a rate. All’inizio 50 mila euro al mese. Poi 12mila. Poi 8. A fine anno non mi aveva dato ancora tutta la cifra. Però io dovevo pagare le tasse su tutto. Mi affido a un avvocato. Ma [Fazi] dice che non li ha. Alla fine ci accordiamo per 70mila. 61 netti. Però ho ripreso tutti i diritti”.

Fazi, alla domanda di Telese che gli chiede se è vero che avesse sospeso i pagamenti alla Panarello, risponde: “Bugia. Saltò un mese, forse”.

A questa affermazione, quantomeno vaga, la Panarello risponde invece più precisamente: “Mi risulta, e gli estratti conto lo testimoniano, che Fazi Editore ha smesso di pagarmi le royalties in rate nel febbraio 2009, senza addurre alcuna motivazione. Inoltre, dal 2008, non ha mai presentato i rendiconti relativi alle vendite dei miei libri, nonostante sia io che il mio ex agente sollecitassimo ripetutamente tramite lettere e e-mail (altri testimoni)”.

Discorso a parte merita la questione dei diritti cinematografici del libro Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, i cui diritti furono acquistati da Francesca Neri per realizzarne l'omonimo film. Fazi sostiene che: “Melissa ebbe fino all’ultima lira. La Neri pagò 80mila euro. Anticipo 10%. A lei 4mila che ebbe insieme ai diritti”.

Risponde la Panarello: “Nella sua intervista Elido Fazi sostiene di aver ricevuto 80mila euro dall'opzione cinematografica acquistata da Francesca Neri. Bene: al tempo, io sapevo che gli euro erano 34mila. O Fazi mente adesso, o mi ha mentito nel 2003”. Afferma inoltre la Panarello che “Fazi non mi ha mai fatto vedere nemmeno il contratto”.

Quello che emerge, eclatante, da tutto questo scambio, con buona pace dei commentatori de Il Fatto, non è gossip letterario, ma la deprecabile e pericolosa libertà d'azione di un editore nei confronti di un autore. Non è nostro compito giudicare, lo avrebbe fatto la magistratura se la vicenda non fosse finita con un patteggiamento, tuttavia rileviamo per l'ennesima volta che:
 
1. è quasi impossibile, per un autore, provare l'eventuale incongruenza di rendiconti che l'editore ha la facoltà di stilare senza alcun tipo di controllo esterno e imparziale. Perché dovremmo fidarci? Se non ci sono garanzie di trasparenza, quello che dovrebbe essere un rapporto professionale tra pari si trasforma in un rapporto di subordinazione.
 
2. la pessima abitudine di prendere tempo fa comodo sempre e solo all'editore: prendere tempo nel non pagare l'autore come merita e nei tempi stabiliti dal contratto (tanto più che il pagamento dei compensi all'autore è sempre previsto a profitti ampiamente incassati). L'autore è l'ultimo a cui conviene adire le vie legali, perché i tempi sono lunghissimi, perché dovrà pagare di tasca propria un avvocato per ottenere il riconoscimento di un diritto, perché l'editore (che naturalmente farà di tutto per prendere tempo in sede legale più che mai) al momento dell'eventuale condanna potrebbe dichiarare fallimento (a molti è successo anche questo).
 
3. un caso come quello di Melissa Panarello, da centinaia di migliaia di euro, è più un'eccezione che la regola: la stragrande maggioranza degli autori, i cui compensi non vengono saldati entro i termini stabiliti dal contratto, deve riscuotere da qualche centinaio al massimo di qualche migliaio di euro. Chi ha voglia di imbarcarsi in una lunga diatriba legale dall'esito incerto? Chi se la sente di sobbarcarsi le spese per un avvocato (ricordiamo che in caso di vittoria la parte avversa paga le spese processuali, ma NON le parcelle dell'avvocato) che probabilmente supereranno la cifra per riscuotere la quale lo assumiamo? Su questo purtroppo campa la malafede di diversi editori.

Un altro grande problema è che queste battaglie si consumano tra le mura delle case editrici e quelle domestiche di molti autori, raggiungendo al massimo l'ufficio di qualche avvocato. È molto importante, invece, che Melissa Panarello ne abbia parlato pubblicamente, senza il timore di risultare indesiderabile nei suoi eventuali rapporti con altri editori, senza il timore che la vicenda arrivi come un pettegolezzo, come una vicenda famigliare e quasi privata, cosa che, di fatto, sta tristemente accadendo.

Luca Telese, in un articolo sul suo blog in cui commenta la vicenda, finisce col mettere autrice ed editore sullo stesso piano, e livellare la questione come se non fosse ben chiaro da che parte stiano il vantaggio o lo svantaggio, ecco come conclude: “Ognuno di voi è libero di ritagliarsi – se lo vuole – la sua morale dentro questa storia”. Certo, non ci permettiamo noi di giudicare, figuriamoci un giornalista. Ma non era un giudizio né una morale che ci aspettavamo da un giornalista attento, bensì la formulazione di una serie di importanti interrogativi. Il problema è che nessuno si prende la briga di mettere in discussione le convenzioni granitiche dei contratti editoriali che stanno a monte di queste piccole guerre private. A nostro parere Telese ha perso l'occasione di porre qualche domanda: perché si è arrivati a questo punto? Possibile che né la contrattualistica editoriale né la legge italiana siano stati in grado di fare giustizia in questa vicenda penosa? Perché un'autrice costretta a contrarre debiti a causa di pagamenti non saldati ha dovuto ricorrere a un patteggiamento anziché essere aiutata, dalle leggi italiane in materia editoriale e da una tradizione contrattuale sana e congrua, a portare avanti il processo fino a ottenere giustizia?

Queste domande, sì, ce le saremmo aspettate da un quotidiano d'inchiesta come Il Fatto Quotidiano, e forse persino i commentatori più miopi, tanto indignati dal presunto gossip letterario da vedere solo quello, avrebbero apprezzato.

Carolina Cutolo