Pubblichiamo la seconda parte di Se qualcuno ti dice che non sei un vero scrittore... (forse ha ragione), scritta da Simi come risposta al dibattito che il primo post aveva generato sul web.
Totti, l'intellettuale consonante e il Palazzo d'Inverno
Di Giampaolo Simi
A tutti quelli che hanno commentato il mio post del mese scorso sullo slogan del sito “ilmiolibro.it”: innanzitutto grazie per aver animato il dibattito.
Intavolare discussioni individuali non mi è ovviamente possibile. Provo allora a dare risposte riassuntive alle obiezioni emerse.
1. Ho usato la similitudine del calcio come corrispettivo della scrittura in quanto pratica diffusa, accessibile ed economica. Altri sport, come altri mezzi espressivi, richiedono risorse, possibilità e tecniche che selezionano drasticamente chi può e chi non può. Non tutti possono permettersi il golf o l'equitazione. E nelle scuole non mi risulta obbligatoria la lettura del pentagramma. Tutti sappiamo tenere una penna in mano e tutti abbiamo consumato il cortiletto della scuola dietro ai palloni più sgonfi.
2. Tirare in ballo il solito libro di barzellette di (e su) Totti significa, quindi, star lì a guardare il dito invece della luna. Oltretutto, a onor del capitano della Roma, Totti non ha percepito una lira da quella operazione, quindi il suo reddito proviene saldamente dall'attività sportiva, in cui eccelle da professionista.
3. Per il successo ci vuole pure un po' di fortuna, ma non basta andare in tv a pubblicizzare il proprio libro. Lo scrittore di successo oggi è il moderno intellettuale non più “organico” a un partito, a un'idea, a un progetto di società da realizzare, ma “consonante” a un sistema di produzione dell'intrattenimento già esistente (e multimediale) che ha fagocitato la produzione libraria. Questo sistema veicola ormai solo contenuti adatti alla propria natura. Veloci, semplici, leggeri, eclatanti e a breve persistenza. Gli autori di successo sono capaci di fare questo. Non saranno i novelli Proust, ma non sono geni del male, non sono tutti raccomandati, non hanno vinto all'Enalotto e non sono nemmeno così di destra o di sinistra come potrebbero sembrare. Hanno capito, hanno scelto, hanno saputo agire di conseguenza.
4. Chi sceglie l'autopubblicazione accusando le grandi case editrici di produrre solo libri di calciatori, comici e personaggi famosi, dimentica però di sottostare al medesimo meccanismo. Il personaggio famoso si presenta infatti all'editore con un “assegno virtuale” derivante dalla sua popolarità, corrispondente a 10.000, 20.000 o 100.000 copie, così come l'autore aps paga in partenza la tiratura iniziale di 100 o 500. Cambiano i numeri dell'operazione, ma i concetti alla base per l'editore sono gli stessi: azzerare i rischi economici e, d'altro canto, perdere qualsiasi voce in merito al contenuto dell'opera. Rinunciare quindi in toto alla propria natura di “impresa culturale”. In questo senso, mi fa paura che grandi marchi editoriali si comportino come editori aps, non certo che editori aps si diano arie da intrepidi scopritori di talenti.
5. A me sta bene il print on demand. Basta chiamarlo con il suo nome. Non sono stato io a camuffarlo da casa editrice tramite il sito di Repubblica e il logo Feltrinelli.
6. Non ho mai scritto che chi si autopubblica debba vergognarsi, come del resto io non mi vergogno di giocare al pallone pagandomi il campo, gli scarpini e la maglietta della mia squadra preferita. Se vi rende felici, fatelo. Ma se, come viene dichiarato in qualche commento, questo aumenta la vostra frustrazione, allora riflettete: c'è un malinteso alla base. Quale? Faccio un'ipotesi. Avete, come tutti, una storia da raccontare. Avete, come tutti, il diritto di raccontarla. Avete, come tanti, l'urgenza e la voglia di farlo in forma letteraria. Ma questo non significa avere la capacità e gli strumenti di rendere tutto ciò emozionante e interessante per gli altri come lo è per voi. Forse non li avrete mai, forse non li avete ancora. Perché scrivere è un conto, narrare un altro. Se alla scuola dell'obbligo insegnassero a tutti a leggere il pentagramma e dessero almeno l'infarinatura di uno strumento, andreste in giro a dire che siamo tutti musicisti? Non credo (saremmo tutti persone migliori, questo sì, ma è un altro discorso: attiene alle virtù autoterapeutiche sia della musica che della scrittura). E tanto per rimanere nell'ambito musicale, non fatevi ingannare dal gusto soggettivo che spazia da Frank Zappa a Chopin, da Berio a Madonna. L'intonazione, il ritmo e il timbro hanno almeno alcune leggi oggettive con cui tutti fanno i conti. Perché volete farvi convincere che nella narrazione siano arbitrarie, o innate, o non condivisibili?
7. Gli ultimi anni hanno visto la scomparsa della critica letteraria, questa torbida cricca di tromboni barbosi che discettavano sul sesso degli angeli. La rivoluzione del print on demand auspicherebbe ora anche la scomparsa degli editori, queste torbide cricche autoreferenziali che pubblicano solo i soliti raccomandati? Bene, i critici e gli editori saranno un catalogo vivente delle aberrazioni umane più turpi, ma assieme a loro scomparirà il libro, inteso come prodotto composito alla cui realizzazione contribuisce una squadra di lavoro con competenze e ruoli diversi, in base a un progetto culturale comune. E senza i critici, senza il libro, senza gli editori (e senza più i librai) finirà anche lo scrittore, inteso proprio come voce autorevole riconosciuta da un sistema articolato. Finirà cioè quello status mitizzato a cui proprio "quelli che scrivono" ambiscono, in maniera tanto romantica e contraddittoria. Non avrà più senso proprio quella parola in grassetto che occhieggia dalla manchette del sito “Il mio libro”. Sarà un bene? Può anche darsi. Personalmente non ho certezze prêt à porter. So però una cosa: se siete convinti che autopubblicarvi sia l'assalto finale al Palazzo d'Inverno, fatelo. Ma non venite a lamentarvi, dopo, se nessuno vi incorona come Zar.
Giampaolo Simi