di Alessandra Amitrano
Segretaria in un’azienda di ICT, ovvero Information Communication Technology, questo facevo subito prima di pubblicare Broken Barbie. La lavoratrice del nulla. La dipendente di un signore che mi chiedeva di ricordargli di ricordarsi di ricordare qualcosa a qualcuno. Cose che, la maggioranza delle volte, avevano a che fare con cifre, economia, profitti, investimenti.
Nei ritagli di tempo buttavo giù qualche episodio di Stella, la protagonista del romanzo: una fanciulla che dilaniava umanità, masticava estasi e veleno.
La scrittrice segretaria, invece, aveva in serbo un desiderio di emancipazione da quel tempio del niente: il suo primo romanzo era in trattativa. Ma non immaginava di mandare i suoi colleghi a quel paese una volta che avrebbe messo il suo nome e il suo cognome in calce al suo primo contratto editoriale. No. Quel tempio del nulla, come ogni altro luogo, ogni altro passaggio, era una preziosa fonte di umanità. Lì prendevano forma nuovi personaggi, imprenditori da milioni di euro, signori privi di grazia e colmi di avidità, impiegati truffaldini, un vasto campionario dell’umanità dell’impazienza.Segretaria in un’azienda di ICT, ovvero Information Communication Technology, questo facevo subito prima di pubblicare Broken Barbie. La lavoratrice del nulla. La dipendente di un signore che mi chiedeva di ricordargli di ricordarsi di ricordare qualcosa a qualcuno. Cose che, la maggioranza delle volte, avevano a che fare con cifre, economia, profitti, investimenti.
Nei ritagli di tempo buttavo giù qualche episodio di Stella, la protagonista del romanzo: una fanciulla che dilaniava umanità, masticava estasi e veleno.
Eppure lo fece. La mattina della firma per esteso e delle sigle su ogni pagina, dopo essersi allontanata dall’ufficio e aver comunicato di farvi rientro dopo un’ora, un’ora e mezzo al massimo, si andò a chiudere in un pub a bere e a brindare con se stessa. Il tempo passava, lei non rientrava, il capo era sicuramente incazzato. Ma la gioia era grande, così grande che contagiò tutti non appena rimise piede nell’ufficio: ho firmato, a luglio esce Broken Barbie. I brindisi continuarono, quell’umanità era meno menomata di quanto immaginasse, ma decise comunque di salutarli: con aria fanfarona ritirò le sue cose come fanno i licenziati negli uffici dei film americani, andò in un altro bar a bere ancora, si rigirava quel contratto tra le mani e stentava a crederci. Non aveva obiettato quasi nulla, giusto un paio di cosette, piccole, insignificanti, cose che l’editore concesse senza esitare. D’altronde, pensava, ricorrere a una consulenza legale, far revisionare il contratto da qualche esperto, avrebbero spogliato quell’impresa di parte della sua valenza magica. Sarebbe stato come perdere la verginità con uno sconosciuto e non con l’uomo amato e desiderato.
Con il raziocinio di poi, penso che avrei fatto bene a perdere la verginità con uno sconosciuto. Non sarebbe stata una perdita ma un’aggiunta, una cosa che nulla avrebbe tolto alla magia del primo incontro. Una cosa che, alla magia del primo incontro, avrebbe consegnato autorizzazione e consapevolezza. In fondo si tratta solo di invertire i vettori: spostare concetti e slittare significati.
È come se lo scrittore, al suo primo contratto, pensasse: non voglio perdere tempo con queste beghe contrattuali, sento che mi sporcherebbero, sento che sciuperebbero quest’atto rituale che sa di mistica e magia. È come se lo scrittore, percependosi tale, relegasse in altre e lontane sfere tutto quanto non riguardi direttamente la sua creatività. Di qui il non sentirsi autorizzato alla contrattazione: non la ritiene materia del su regno. Ebbene, ci sarebbe da fare un lavoro sull’ego, da un lato svilito dalla mancata autorizzazione di un ruolo che non ritiene degno della sua competenza, dall’altro inebetito da un’auto-proclamazione regale: sono uno scrittore, la contrattazione non mi riguarda, semmai è roba da agenti.
La contrattazione, invece, è roba nostra. La contrattazione ci fa crescere, come persone e come scrittori. È quella cosa che ci autorizza a manifestare la nostra identità, un’identità lontana da svilimenti e inebetimenti, un’identità consapevole del proprio ruolo creativo ma anche del proprio ruolo imprenditoriale. Contrattare, dunque conoscere gli anfratti dell’impresa, significa essere responsabili del proprio merito e del proprio lavoro.