Pubblichiamo la richiesta di consulenza legale di Giada Ceri e di seguito la relativa risposta di Alessandra Pulcini.
DOMANDA
di Giada Ceri
di Giada Ceri
Il silenzio dell’editore: può essere considerata, questa, una giusta causa per la risoluzione di un contratto? E qui “risolvere” vale anche nel senso più comune, perché ai miei occhi, miopi e astigmatici, c’è da risolvere un piccolo mistero. Ovvero: come mai il mio editore è scomparso dall’orizzonte nel momento in cui avevamo fissato un incontro per parlare del libro già uscito e del nuovo sottoposto alla sua lettura? Da tre mesi e mezzo il mio unico interlocutore è il segretario della casa editrice che ha pubblicato il mio romanzo lo scorso 28 ottobre. Data infausta (soprattutto per motivi che, certo, non mi azzardo a paragonare alle mie modeste sventure).
Il silenzio dell’editore: può essere considerata, questa, una giusta causa per la risoluzione di un contratto? E qui “risolvere” vale anche nel senso più comune, perché ai miei occhi, miopi e astigmatici, c’è da risolvere un piccolo mistero. Ovvero: come mai il mio editore è scomparso dall’orizzonte nel momento in cui avevamo fissato un incontro per parlare del libro già uscito e del nuovo sottoposto alla sua lettura? Da tre mesi e mezzo il mio unico interlocutore è il segretario della casa editrice che ha pubblicato il mio romanzo lo scorso 28 ottobre. Data infausta (soprattutto per motivi che, certo, non mi azzardo a paragonare alle mie modeste sventure).
Sono stata chiamata dall’editore per la prima volta nel maggio 2007: il libro gli era piaciuto, voleva pubblicarlo. Fra incontri e conversazioni telefoniche si arriva alla decisione nel 2009: il libro uscirà a gennaio 2010. A febbraio. Ad aprile. Forse a giugno. Suggerisco la possibilità, con un ulteriore piccolo
sforzo, di pubblicarlo postumo – con, chissà, eventuali ricadute positive sulle vendite. Poi invece il libro esce: giusto pochi giorni dopo che io (prima che l’ Onnipotente si manifestasse, finalmente, fulminandomi) avevo ricordato il contratto ancora da firmare. Dio non mi fulminò, io e l’editore firmammo e così adesso mi trovo a scrivere qua.
Non gioverà alla reputazione della mia intelligenza, ma devo riconoscere che quelle quattordici clausole le ho sottoscritte io, dopo averle lette con calma come l’editore stesso mi aveva suggerito di fare – con il rapporto di stima e fiducia che credevo si fosse stabilito (in più di due anni), avrei firmato a occhi chiusi. Ho letto, insomma, e non avevo assunto nessun genere di sostanza quando ho firmato. Anzi: credo di essermi sentita addirittura sollevata all’idea di un vincolo che mi assicurava la presenza di qualcuno al quale poter fare riferimento anche per il futuro.
Ora, riconosco che fino al momento della pubblicazione le cose si sono svolte distesamente, benché in tempi francamente estenuanti, e dei risultati in termini di editing e di cura del libro come “oggetto” non ho motivo di lamentarmi. Tutt’altro. Aggiungo che mi sono stati lasciati anche alcuni margini di libertà. Dunque, ho firmato il contratto serena e convinta. Mi era stato assicurato che, una volta uscito, il mio libro sarebbe stato seguito con impegno e attenzione, e io ci ho creduto: ho scelto la casa editrice che ho scritto (avendo peraltro non molte ma molto valide alternative) nella certezza che fosse la collocazione più adatta per un autore, come me, non da bestseller. Meglio essere invitata a pranzo come ospite d’onore in una casa non faraonica che partecipare, una fra innumerevoli, al ricevimento nel palazzo del principe... Bene: mi ritrovo con la scodella in mano a trangugiare un brodino ormai freddo fuori dall’uscio. Il padrone di casa non si è fatto vedere e non dà più notizie di sé, né risponde quando lo cerco. Telefonate, sms, mail: tutto cade nel vuoto.
Stando al contratto, il padrone (voi chiamatelo, se volete, editore) ha cinque anni per valutare i miei lavori e decidere se pubblicarli o no. Ma questi cinque anni sembravano pura teoria, dal momento che eravamo già d’accordo per vedersi e parlare del nuovo lavoro che gli avevo inviato in gennaio. Lui stesso me lo aveva chiesto, fissando un incontro che poi è stato rimandato a data da destinarsi. Questo all’inizio di maggio. Da allora non c'è modo di mettersi in contatto con lui. Gli ho scritto che a questo punto penserei di rivolgermi ad altri, e di nuovo silenzio. Non un rifiuto: il silenzio. Che in casi del genere, se possibile, è anche peggio. Ma il mio non intende essere solo un lamento fine a se stesso, dunque approfitto di questo spazio, pubblico, per invitarlo a manifestarsi, esprimendo le sue ragioni e le sue posizioni, segnatamente sul tema dell’opzione. Non il carattere, né l’attitudine personale (concetto fumoso), ma l’esperienza mi dice che è più utile per tutti trovare una strada condivisibile per sopravvivere. Non è il massimo cui si possa aspirare, ma è, questo sì, il minimo che si deve pretendere.
sforzo, di pubblicarlo postumo – con, chissà, eventuali ricadute positive sulle vendite. Poi invece il libro esce: giusto pochi giorni dopo che io (prima che l’ Onnipotente si manifestasse, finalmente, fulminandomi) avevo ricordato il contratto ancora da firmare. Dio non mi fulminò, io e l’editore firmammo e così adesso mi trovo a scrivere qua.
Non gioverà alla reputazione della mia intelligenza, ma devo riconoscere che quelle quattordici clausole le ho sottoscritte io, dopo averle lette con calma come l’editore stesso mi aveva suggerito di fare – con il rapporto di stima e fiducia che credevo si fosse stabilito (in più di due anni), avrei firmato a occhi chiusi. Ho letto, insomma, e non avevo assunto nessun genere di sostanza quando ho firmato. Anzi: credo di essermi sentita addirittura sollevata all’idea di un vincolo che mi assicurava la presenza di qualcuno al quale poter fare riferimento anche per il futuro.
Ora, riconosco che fino al momento della pubblicazione le cose si sono svolte distesamente, benché in tempi francamente estenuanti, e dei risultati in termini di editing e di cura del libro come “oggetto” non ho motivo di lamentarmi. Tutt’altro. Aggiungo che mi sono stati lasciati anche alcuni margini di libertà. Dunque, ho firmato il contratto serena e convinta. Mi era stato assicurato che, una volta uscito, il mio libro sarebbe stato seguito con impegno e attenzione, e io ci ho creduto: ho scelto la casa editrice che ho scritto (avendo peraltro non molte ma molto valide alternative) nella certezza che fosse la collocazione più adatta per un autore, come me, non da bestseller. Meglio essere invitata a pranzo come ospite d’onore in una casa non faraonica che partecipare, una fra innumerevoli, al ricevimento nel palazzo del principe... Bene: mi ritrovo con la scodella in mano a trangugiare un brodino ormai freddo fuori dall’uscio. Il padrone di casa non si è fatto vedere e non dà più notizie di sé, né risponde quando lo cerco. Telefonate, sms, mail: tutto cade nel vuoto.
Stando al contratto, il padrone (voi chiamatelo, se volete, editore) ha cinque anni per valutare i miei lavori e decidere se pubblicarli o no. Ma questi cinque anni sembravano pura teoria, dal momento che eravamo già d’accordo per vedersi e parlare del nuovo lavoro che gli avevo inviato in gennaio. Lui stesso me lo aveva chiesto, fissando un incontro che poi è stato rimandato a data da destinarsi. Questo all’inizio di maggio. Da allora non c'è modo di mettersi in contatto con lui. Gli ho scritto che a questo punto penserei di rivolgermi ad altri, e di nuovo silenzio. Non un rifiuto: il silenzio. Che in casi del genere, se possibile, è anche peggio. Ma il mio non intende essere solo un lamento fine a se stesso, dunque approfitto di questo spazio, pubblico, per invitarlo a manifestarsi, esprimendo le sue ragioni e le sue posizioni, segnatamente sul tema dell’opzione. Non il carattere, né l’attitudine personale (concetto fumoso), ma l’esperienza mi dice che è più utile per tutti trovare una strada condivisibile per sopravvivere. Non è il massimo cui si possa aspirare, ma è, questo sì, il minimo che si deve pretendere.
Giada Ceri
RISPOSTA
di Alessandra Pulcini
di Alessandra Pulcini
La questione presentata all’esame di questo legale si riferisce all’individuazione dei casi di risoluzione del contratto di edizione. La disciplina di rifermento è dettata dalla legge del 22 aprile 1941 n. 633 e dal relativo regolamento n. 1369/1942, nonché dalle normativa codicistica di diritto civile. Nello specifico la sezione III della legge sul diritto di autore preserva una sezione a parte per il contratto di edizione (contratto con il quale l’autore concede all’editore l’esercizio del diritto di pubblicare per diverse stampe, per conto e a spese dell’editore stesso, l’opera). Pertanto, è da considerarsi nullo quel contratto che: 1) ha per oggetto tutte le opere o categorie di opere che l'autore possa creare, senza limite di tempo; 2) senza pregiudizio delle norme regolanti i contratti di lavoro o di impiego, i contratti concernenti l'alienazione dei diritti esclusivi di autore per opere da crearsi non possono avere una durata superiore ai dieci anni; 3) se viene determinata l'opera da creare, ma non viene fissato il termine entro il quale l'opera deve essere consegnata, l'editore ha sempre il diritto di ricorrere all'autorità giudiziaria per la fissazione di un termine. Se il termine viene fissato, l'autorità giudiziaria ha facoltà di prorogarlo. La disposizione è chiaramente a favore dell’autore, che non può essere impegnato per un tempo indefinito ovvero che si sospinga oltre il termine dato dalla disposizione.
L’elemento giuridico essenziale per il perfezionamento dell’istituto in esame è la consegna, da parte dell'autore, dell'opera dell'ingegno prevista e formalmente compiuta, cosicché l'editore possa pubblicarla per trarne il godimento connesso allo sfruttamento.
Tuttavia le parti possono accordarsi per le opere dell'ingegno future. Detta convenzione non può avere una durata superiore a dieci anni. Ciò in virtù del principio dell’autonomia contrattuale la legge riconosce la piena disponibilità dei diritti che attengono alle opere che non sono state ancora create, così configurando una vera e propria aspettativa giuridica convenzionalmente pattuita, in deroga al principio per cui le parti non possono convenzionalmente porre in essere delle disposizioni ora per allora di diritti futuri.
Gli artt. 125 e 126 della legge sul diritto di autore sanciscono rispettivamente gli obblighi dell’autore e gli obblighi dell’editore. Il principale obbligo dell’autore è di consegnare l’opera e garantirne il pacifico godimento dei diritti ceduti per tutta la durata del contratto. L’obbligo fondamentale dell'editore è non solo di corrispondere alla controparte i compensi pattuiti, ma piuttosto di indicare e riconoscere nominativamente (o tramite pseudonimo) l'opera riprodotta e posta in vendita, così riconoscendo all'autore la paternità della stessa (c.d. diritto di paternità - art. 126), e di pubblicare o riprodurre l'opera non oltre il termine di due anni dall'effettiva consegna della stessa (art. 127).
Si aggiunge che il contratto di edizione può prevedere più edizioni dell'opera, nel qual caso l'editore è tenuto a comunicare tempestivamente all'autore la data presumibile di esaurimento dell'edizione in corso, prima ovviamente che ciò avvenga, e contemporaneamente - ai sensi del co. 2 dell'art. 124 - deve dichiarare allo stesso se sia sua intenzione procedere ad una nuova edizione. Ciò posto, il contratto di edizione si risolve di diritto sia nel caso in cui l'editore abbia rinunciato ad una nuova edizione, sia nel caso in cui, pur avendo dichiarato di voler procedere ad una nuova edizione, trascorrere inutilmente il termine di due anni dalla notifica di detta dichiarazione. Tale comportamento rileva - per espresso dettato dell'art. 124 u.c. - ai fini della configurabilità di una responsabilità contrattuale che, come tale, giustifica un'azione di risarcimento dei danni a favore dell'autore dell'opera.
Nel nostro caso, l’editore che manifesta in modo univoco l’intenzione di voler procedere ad una nuova edizione senza eseguire concretamente alcunché nei due anni successivi, viola apparentemente (a fronte di quanto è emerso nella narrazione dei fatti) gli obblighi derivanti dal contratto sottoscritto con l’autrice, pertanto il detto contratto potrà intendersi risolto con la conseguente emersione della responsabilità contrattuale in capo all’editore.
L’elemento giuridico essenziale per il perfezionamento dell’istituto in esame è la consegna, da parte dell'autore, dell'opera dell'ingegno prevista e formalmente compiuta, cosicché l'editore possa pubblicarla per trarne il godimento connesso allo sfruttamento.
Tuttavia le parti possono accordarsi per le opere dell'ingegno future. Detta convenzione non può avere una durata superiore a dieci anni. Ciò in virtù del principio dell’autonomia contrattuale la legge riconosce la piena disponibilità dei diritti che attengono alle opere che non sono state ancora create, così configurando una vera e propria aspettativa giuridica convenzionalmente pattuita, in deroga al principio per cui le parti non possono convenzionalmente porre in essere delle disposizioni ora per allora di diritti futuri.
Gli artt. 125 e 126 della legge sul diritto di autore sanciscono rispettivamente gli obblighi dell’autore e gli obblighi dell’editore. Il principale obbligo dell’autore è di consegnare l’opera e garantirne il pacifico godimento dei diritti ceduti per tutta la durata del contratto. L’obbligo fondamentale dell'editore è non solo di corrispondere alla controparte i compensi pattuiti, ma piuttosto di indicare e riconoscere nominativamente (o tramite pseudonimo) l'opera riprodotta e posta in vendita, così riconoscendo all'autore la paternità della stessa (c.d. diritto di paternità - art. 126), e di pubblicare o riprodurre l'opera non oltre il termine di due anni dall'effettiva consegna della stessa (art. 127).
Si aggiunge che il contratto di edizione può prevedere più edizioni dell'opera, nel qual caso l'editore è tenuto a comunicare tempestivamente all'autore la data presumibile di esaurimento dell'edizione in corso, prima ovviamente che ciò avvenga, e contemporaneamente - ai sensi del co. 2 dell'art. 124 - deve dichiarare allo stesso se sia sua intenzione procedere ad una nuova edizione. Ciò posto, il contratto di edizione si risolve di diritto sia nel caso in cui l'editore abbia rinunciato ad una nuova edizione, sia nel caso in cui, pur avendo dichiarato di voler procedere ad una nuova edizione, trascorrere inutilmente il termine di due anni dalla notifica di detta dichiarazione. Tale comportamento rileva - per espresso dettato dell'art. 124 u.c. - ai fini della configurabilità di una responsabilità contrattuale che, come tale, giustifica un'azione di risarcimento dei danni a favore dell'autore dell'opera.
Nel nostro caso, l’editore che manifesta in modo univoco l’intenzione di voler procedere ad una nuova edizione senza eseguire concretamente alcunché nei due anni successivi, viola apparentemente (a fronte di quanto è emerso nella narrazione dei fatti) gli obblighi derivanti dal contratto sottoscritto con l’autrice, pertanto il detto contratto potrà intendersi risolto con la conseguente emersione della responsabilità contrattuale in capo all’editore.