di Emiliano Gucci
A volte può far bene ricordarsi che cos’è un editore vero, come agisce e cosa non farebbe pur di pagare un autore che ha intenzione di pubblicare. Si trattasse anche, solamente, di un racconto da includere in una rivista: perché è il principio che conta, e la logica, non la quantità di parole noleggiate di volta in volta. A tal proposito vi consiglio di vedere (o rivedere) l'unico film scritto di pugno da Charles Bukowski, Barfly, diretto da Barbet Schroeder e interpretato da Mickey Rourke e Faye Dunaway (a mio avviso bravissimi, così veri e così umani che a tratti non sembra Hollywood). Chinaski deambula in una sbronza continua, tra topaie in affitto e scazzottate sul retro del bar; appunta la sua disperata poesia quotidiana su dei fogliacci che disperde tra i bicchieri sporchi e probabilmente si dimentica di aver inviato materiale a una rivista, ma non c’è problema: l’editrice ingaggia un detective pur di stanarlo, raggiungerlo, mettergli in mano (in anticipo) l’assegno per il racconto che vorrebbe pubblicare (se lo porterà anche a letto, ovviamente, sennò non sarebbe Bukowski, ma questa è un’altra faccenda). Guardatelo, rifletteteci, commuovetevi, ringraziatemi o maleditemi per il mio consiglio, quello che vi pare; purché non diciate che certe cose succedono soltanto al cinema o che erano altri tempi: il film è del 1987, e ricompensare chi gli permette di esistere, per un editore vero, resterà sempre un'urgenza morale, un piacere, piuttosto che un dovere (talvolta regolato da un contratto, ma questi sono dettagli). E se vi sfuggirà un sorriso, attenzione: potrebbe nascondere un’amarezza.
A volte può far bene ricordarsi che cos’è un editore vero, come agisce e cosa non farebbe pur di pagare un autore che ha intenzione di pubblicare. Si trattasse anche, solamente, di un racconto da includere in una rivista: perché è il principio che conta, e la logica, non la quantità di parole noleggiate di volta in volta. A tal proposito vi consiglio di vedere (o rivedere) l'unico film scritto di pugno da Charles Bukowski, Barfly, diretto da Barbet Schroeder e interpretato da Mickey Rourke e Faye Dunaway (a mio avviso bravissimi, così veri e così umani che a tratti non sembra Hollywood). Chinaski deambula in una sbronza continua, tra topaie in affitto e scazzottate sul retro del bar; appunta la sua disperata poesia quotidiana su dei fogliacci che disperde tra i bicchieri sporchi e probabilmente si dimentica di aver inviato materiale a una rivista, ma non c’è problema: l’editrice ingaggia un detective pur di stanarlo, raggiungerlo, mettergli in mano (in anticipo) l’assegno per il racconto che vorrebbe pubblicare (se lo porterà anche a letto, ovviamente, sennò non sarebbe Bukowski, ma questa è un’altra faccenda). Guardatelo, rifletteteci, commuovetevi, ringraziatemi o maleditemi per il mio consiglio, quello che vi pare; purché non diciate che certe cose succedono soltanto al cinema o che erano altri tempi: il film è del 1987, e ricompensare chi gli permette di esistere, per un editore vero, resterà sempre un'urgenza morale, un piacere, piuttosto che un dovere (talvolta regolato da un contratto, ma questi sono dettagli). E se vi sfuggirà un sorriso, attenzione: potrebbe nascondere un’amarezza.