Ovvero QUELLE MAGICHE 36 ORE
di Carlo Sperduti
Premetto che ho un minimo di esperienza nel campo della piccola editoria, essendomi recentemente reso colpevole di due raccolte di racconti che hanno riscosso un plauso estesosi finanche a qualche cugino di secondo grado. Per una di queste raccolte, ahimè, ho sborsato una certa somma. Sebbene essa non fosse poi così enorme e io ci sia andato poco più che in pari nel giro di due o tre mesi, grazie a una famiglia molto numerosa e a una simpatica cerchia di amici, la cosa non giustifica granché, pur essendo lampante che la frase che sta per concludersi l’ho scritta proprio con l’intento di giustificarmi. Questa, comunque, è un’altra storia, e l’ho tirata in ballo per introdurne un’altra ancora.
Dopo le citate esperienze, mi sono risolto a procedere a una selezione più accurata degli editori a cui proporre i miei lavori. Uno dei criteri, o meglio il primo criterio che mi sono imposto, è stato quello di accertarmi se l’editore in questione chiedesse o meno il cosiddetto “contributo” all’autore, allo scopo di escludere a priori quanti l’avrebbero di sicuro preteso.
Così ho fatto, ma qualche giorno fa mi sono imbattuto per caso nel sito di un editore che mi è sembrato credibile per vari motivi, e d’istinto, data la possibilità d’inviare manoscritti via e-mail e tralasciando di informarmi più decentemente (in parte colpa mia, dunque), ho spedito un romanzo con pretese d’originalità, sperando che fossero scambiate per originalità vera e propria. Ho infatti riscontrato più volte che una confusione di tal genere è spesso causa di un buon successo commerciale.
Per farla breve, ho avuto la fortuna di imbattermi in un editore capace di compiere imprese che non avrei mai creduto possibili.
Le cose sono andate così: in data 1 novembre, alle ore 21:41, ho spedito all’editore il romanzetto che mi è capitato di scrivere. Meno di 36 ore dopo, in data 3 novembre, alle ore 9:29, ricevo questa e-mail contenente miracoli (gli asterischi sostituiscono il nome dell’editore, della collana e il titolo del romanzo; in grassetto ho evidenziato alcuni punti salienti della comunicazione, quelli, cioè, che mi sono sembrati più probanti delle eccezionali capacità del mittente):
Salve Carlo,
le scrivo in merito all'invio della sua opera letteraria, *****: dopo attenta analisi, la Redazione de ***** ha valutato ***** meritevole di pubblicazione nella collana *****. Il suo stile di scrittura chiaro e immediato, la caratterizzazione dei personaggi, l'empatia che è riuscita a generare, il ritmo mai noioso, l'uso di un buon italiano, hanno spinto le Edizioni ***** a inviarle la lettera che trova in allegato.
Attendo un suo gentile riscontro,
grazie.
*****
Prima di commentare quanto dichiarato nel corpo dell’e-mail mi sembra giusto riportare anche parte della lettera in allegato:
Gentile autore,
ho avuto disposizione di mettermi in contatto con Lei per discutere l’eventuale inserimento della sua opera nel catalogo ***** della Casa Editrice *****. In questo periodo puntiamo soprattutto su opere di saggistica, fumetto e letteratura cubana. La narrativa italiana scritta da esordienti molto spesso incontra grosse difficoltà nella vendita e nella diffusione. Per questo motivo viene richiesto agli autori un minimo impegno economico quantificabile nell’acquisto di cento copie dell’opera, scontate del 30 % sul prezzo di copertina. Nel caso di ulteriore acquisto copie, lo sconto sarà del 50 %. Il libro sarà ordinabile tramite i consueti canali di distribuzione della casa editrice…
Ipotizzando ottimisticamente un prezzo di copertina di 10 euro e considerando il 30% di sconto, l’operazione mi sarebbe dunque costata intorno ai 700 euro.
Seguono, nella lettera, 11 righe di storia dell’editore, di cui 7 occupate dai nomi di prestigiosi autori che con essa hanno esordito per poi essere protagonisti di brillanti carriere letterarie. Poi, alcune note sull’infaticabile impegno negli ambiti della distribuzione e della promozione dei libri.
Ovviamente i miracoli cui alludevo, evidenziati in neretto, sono “l'attenta analisi” e la “valutazione” (in 36 ore!) di cui si parla nell’e-mail, poiché mi risulta che una casa editrice, di solito, impieghi tra i 4 e i 12 mesi, a seconda dei casi, per la valutazione di un manoscritto. Ho evidenziato anche la “caratterizzazione dei personaggi” poiché il mio romanzo è preceduto da un’avvertenza in cui si dichiara che l’autore ha appositamente e provocatoriamente evitato di approfondire proprio quell’aspetto. Ergo: a meno che in 36 ore non si sia effettuata anche una pesante operazione di editing a mia insaputa, questi signori non hanno letto nemmeno la prima pagina. Mi sono permesso di ipotizzare che, in effetti, il numero delle battute che la compongono è all’incirca 2000, quindi eccedono di poco le consuete 1800, e che dunque, bisogna ammetterlo, la fatica non sarebbe stata da poco. Ma io, nonostante ciò, in 36 ore almeno una pagina mi sarei sforzato di mandarla giù, e forse l’avrei pure analizzata attentamente, se non altro per meglio imbastire un discorso finalizzato a chiedere soldi a qualcuno per mezzo di lusinghe. In ogni caso, messo da parte il fattore economico, in cui s'è visto anche di peggio e sul quale mi sono limitato a rispondere che “a mio parere chiedere un contributo in denaro equivale a selezionare per la pubblicazione non in base alla qualità ma in base a chi può permetterselo”, la cosa più stupefacente mi sembra la portata della presa in giro, vale a dire il modo in cui alcuni editori si pongono nei confronti di quanti hanno la sfortuna di proporre loro dei manoscritti: considerandoli cioè, in tutta evidenza, meno che cretini.
In conclusione – e a scriverlo è un ammiratore della finzione in quanto esercizio di stile – se proprio vuoi prendermi in giro pretendo almeno che tu lo sappia fare.